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Può la tecnologia aiutarci a sconfiggere il COVID-19? A leggere le dichiarazioni del Ministro per l’innovazione tecnologica e per la digitalizzazione Paola Pisano, saremmo vicini a poter usare le innovazioni tech per preservare la nostra salute. In particolare, la nutrita task force ministeriale, allo scopo costituita, sembrerebbe prossima a presentare la propria relazione su un’app di contact tracing, finalizzata a costruire un argine alla diffusione del virus.
Prende, quindi, corpo l’ipotesi di accesso dello Stato ad alcuni dati personali dei cittadini, per la tutela di un bene percepito come superiore: la salute. Il modello di gestione dell’app dipenderà, ad ogni modo, dagli obiettivi perseguiti: si va dalla definizione della curva epidemiologica, a fini preventivi, alla ricostruzione della catena dei contagi, a fini sanitari; e implica l’opzione su gradi diversi di bilanciamento fra efficacia della soluzione e privacy.
Le tecnologie non si traducono quindi solo in servizi, ma rappresentano anche strumenti, per abilitare i quali può esserci chiesto talvolta un sacrificio in termini di compressione di diritti fondamentali, quale quello della privacy.
In una recente intervista (Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2020), il sociologo Derrick De Kerckhove ha posto al centro dell’attenzione il tema dell’identità connettiva: «[…] i dati che si lasciano in rete sono ordinati, elaborati e analizzati per fornire informazioni, consigli e obblighi. Il doppio digitale è una rappresentazione della persona fisica che agisce nei diversi contesti, ricordando tutto. Questo machine learning può diventare un liberatore o un grande inquisitore».
La questione posta da De Kerckhove assume concretezza in relazione a quanto sta accadendo in Italia, sulla scia di analoghe iniziative assunte da altri governi a livello internazionale (Sudcorea, Taiwan e Singapore su tutti).
Il Ministro Pisano ha avviato, poche settimane fa, una call for contribution finalizzata a selezionare il miglior progetto di Telemedicina e di monitoraggio attivo del rischio di contagio. Tradotto: un’app di tracciamento dei dati personali.
Le attività in corso a livello governativo presumono il convincimento sul fatto che computazione ed elaborazione dei dati possano aiutare a salvare vite e a superare il periodo di emergenza, contenendo anche gli inevitabili impatti sull’economia nazionale.
L’iniziativa non ha raccolto, tuttavia, solo consensi. In ossequio ai principi di un solida cultura liberale, l’ex Presidente Consob ed ex parlamentare Giuseppe Vegas ha denunciato la riduzione dei cittadini a uno stato di sudditanza digitale: «[c]iò che sta accadendo è che l’interesse economico delle grandi imprese si va saldando con quello politico dei governi» (Milano Finanza, 9 aprile 2020).
Le tragicità della pandemia in atto e le fragilità tutte umane – psico-sociali ed economiche – che ne conseguono, dovrebbero in realtà indurci a riflettere sull’importanza dell’uso dei dati: essi rappresentano molto di più di una risorsa da estrarre e manipolare a soli fini economici.
L’uso di un’app di contact tracing in un contesto emergenziale potrebbe rappresentare un valido strumento per superare la prova che stiamo affrontando e, al contempo, un test sul funzionamento della nostra democrazia e sulla capacità di individuare un giusto trade off tra esigenze contrapposte.
Provo a spiegare meglio l’assunto.
L’ordinamento nazionale e quello europeo, insieme al nostro sistema di valori, rappresentano una valida barriera a eventuali abusi.
Le basi legali per il ricorso a un’app di tracciamento dati, d’altra parte, ci sono. Nel tanto vituperato GDPR (art. 9 in particolare) deroghe e autorizzazioni sono modulate in modo da conferire liceità a incursioni dello Stato nella privacy dei cittadini, purché il trattamento dei dati sia giustificato da motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quindi da scopi solidaristici.
Come giustamente indicato dal Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro (nel corso dell’audizione informale dell’8 aprile davanti alla Commissione Trasporti e TLC della Camera) per valutare la liceità di qualsiasi app «[l]a chiave è nella proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza dell’intervento, oltre che naturalmente nella sua temporaneità».
Nella democrazia dell’emergenza, resta necessario che ciascuno assolva alla propria funzione: l’adozione di un’app di tracciamento dei dati deve essere legittimata da una norma di rango primario, da una legge che ne detti le condizioni e la temporaneità. È indispensabile che il Parlamento sia messo nelle condizioni di esercitare la sua funzione legislativa (o ispettiva in caso di un decreto legge), che il Governo dia seguito alle indicazioni di legge, che i tecnici supportino l’impresa, che gli scienziati interpretino i dati ed esprimano i loro pareri. Con i cittadini chiamati a usare la ragione.
La democrazia e la nostra architettura costituzionale rappresentano, dunque, la soluzione migliore per passare dal governo delle urgenze al governo delle complessità.
Davide Minchella
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