I fumetti sono una cosa seria

Partiamo da un dato di fatto: per troppo tempo il fumetto non è stato considerato all’altezza di un libro. Era una forma d’espressione ritenuta di seconda categoria, da sempre vittima di bullismo e denigrazione da parte di una folta pletora di elitisti del racconto e dell’informazione esclusivamente in forma scritta.

Talmente denigrato che per iniziare a essere preso seriamente in considerazione dalla critica e diffondersi verso un pubblico più vasto, ha dovuto cambiare nome: da fumetto a graphic novel. È un dibattito infinito quello sulla presunta distinzione tra questi due termini: per alcuni dovrebbe segnare chiare differenze stilistiche e di formato tra un’opera e l’altra. Secondo altri (con i quali mi schiero convintamente) la distinzione sostanzialmente non sussiste e il tanto inflazionato inglesismo sarebbe solo una geniale trovata commerciale per aprire ai fumetti (e alle case editrici) le porte delle tanto bramate librerie, nonché delle redazioni culturali dei giornali. Il tutto risparmiando a chi va per i 40 l’imbarazzo di doversi confrontare con termini scomodi alla cassa (perché comprare graphic novel si può, mentre comprare fumetti già un po’ meno).

Tralasciando questa breve digressione, il messaggio è che bisognerebbe affacciarsi a questo mondo senza il pregiudizio che tutto ciò che è fumetto sia esclusivamente divertissement, leggerezza, superficialità. C’è una visione ristretta e limitata non solo del ruolo, ma anche delle potenzialità di questo medium che, quando vuole, sa essere uno strumento dannatamente serio, in grado di trattare temi e argomenti complessi con una potenza narrativa e un’efficacia non inferiore (e a volte superiore) a qualunque testo scritto.

Negli anni i fumetti hanno raccontato molto della nostra società, e hanno ancora molto da dire. Basterebbe guardarsi intorno per scoprire veri e propri capolavori più o meno recenti che si sono presi l’onere e l’onore di trattare fatti di attualità, approfondire tematiche di rilevanza sociale, prestare le loro pagine a inchieste e servizi di giornalismo investigativo, raccontare accadimenti salienti della nostra storia da punti di vista non convenzionali. Tutto questo ha consentito a molti di questi contenuti di ampliare la portata del loro messaggio, raggiungendo un bacino di utenza più ampio e altrimenti difficile da intercettare. Il fumetto non è “un giornalino”, è contenuto di valore, di opinione, di pensiero (pur con le sue eccezioni certamente, del resto ogni settore ha le sue pecore nere).

Provate a leggere March, un racconto straordinariamente coinvolgente e dettagliato sulla lotta alla segregazione in America. Un’opera che ripercorre con minuzia di particolari la storia del Senatore John Lewis, attivista dei movimenti per i diritti civili degli afroamericani, e delle marce di protesta negli stati del sud. In un Paese in cui la discriminazione raziale è ancora un’attualissima emergenza, March è stato una vera e propria miccia in grado di riaccendere e infiammare il dibattito pubblico, riportando in auge proprio quei messaggi e valori alla base dei primi movimenti di protesta e contribuendo a diffonderli verso un’ampia fetta delle generazioni più giovani.

Se non vi basta, andando a ritroso negli anni potreste imbattervi in Maus di Art Spiegelman, e scoprire che con i fumetti si può parlare in modo toccante anche di Shoah, trattando il tema da un punto di vista inconsueto.

Maus è un’opera autobiografica che indaga sul rapporto dell’autore con il padre sopravvissuto ad Auschwitz, e più in generale su come il trauma della guerra subìto dai genitori si sia riversato su un’intera generazione di figli. Maus significa “topo” in tedesco, e si riferisce al modo in cui Spiegelman raffigura gli ebrei, perseguitati dai gatti tedeschi. I francesi sono rane, i polacchi maiali e gli americani cani, in un’allegoria simile a quella della Fattoria degli Animali di Orwell, con la sola differenza che qui nessuno si allea per combattere gli umani.

Anche qui l’illustrazione, dai tratti sporchi e carichi di nero, dà potenza e forza espressiva nel raccontare una delle più grandi ferite della società di fine novecento. Maus è il primo fumetto a essersi aggiudicato il Pulitzer, un’opera che ha richiesto più di vent’anni per essere completata, dalla portata così grande da oscurare lo stesso Spiegelman e i suoi altri lavori, sia precedenti che successivi.

Ma esistono esempi molto più vicini a noi, che dimostrano come anche in Italia il settore dei fumetti sia in continuo fermento e di come questo format venga apprezzato da una sempre più ampia fascia di lettori (grazie graphic novel <3).

Tra gli artisti è facile menzionare un fenomeno commerciale come Zerocalcare, che ha raccontato il conflitto in medio oriente su Internazionale tramite una serie di racconti a puntate raccolti infine in uno dei suoi volumi più riusciti sia stilisticamente che commercialmente: Kobane Calling. Al di là degli elementi soggettivi e d’opinione che contornano la storia, l’opera ha il merito di porre l’accento su aspetti del conflitto sconosciuti ai più e scarsamente trattati dai media mainstream, quasi a voler costruire una sorta di controinformazione.

Ma sono interessanti anche progetti più “di nicchia” e che affrontano temi centrali per il nostro Paese: prendiamo ad esempio “Mediterraneo” di Sergio Nazzarro e Luca Ferrara, un racconto della traversata verso l’Italia di un gruppo di immigrati clandestini, in cui la forza delle immagini è così forte ed esaustiva da non richiedere l’utilizzo di alcun testo. Oppure “Lollò Cartisano: l’ultima foto alla n’drangheta” di Luca Scornaienchi, un viaggio nella Calabria per incontrare quelle persone che hanno deciso di opporsi al sistema di potere delle cosche.

E intorno a questo universo frammentato di piccole grandi pubblicazioni, si stanno sviluppando progetti editoriali lodevoli, con l’obiettivo di valorizzare sempre più queste opere, di dare sempre più voce e dignità ai fumetti e ai loro autori. È il caso ad esempio della “Round Robin” casa editrice indipendente attiva da molti anni e che vanta un ampio catalogo di opere e autori.

Concludendo, i fumetti parlano tante lingue e hanno cose interessanti da raccontarvi. Non sottovalutateli perdendo l’occasione di ascoltarli. Tra le loro pagine potreste trovare qualcosa di unico. E non vergognatevi a usare il loro vero nome, la licenza di chiamarli “Letteratura disegnata” è concessa a un solo maestro, di chi si tratta scopritelo voi.