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Limiti di accesso, testimonial non convenzionali, libertà totale nella scelta dei temi affrontati, nessun limite di espressione. Clubhouse, la piattaforma basata sulla voce, gira intorno alle discussioni degli utenti. Ma non sarà che la sua strategia per emergere è proprio quella di scatenare discussioni anche al di fuori? Ecco cosa abbiamo capito del nuovo social dopo più di un mese dal suo arrivo.
È più di un mese dall’arrivo di Clubhouse in Italia, il nuovo social network lanciato nel 2020 da Alpha Exploration Co., nato da un’idea dell’imprenditore Paul Davison e dell’ingegnere Rohan Seth.
Ce lo siamo chiesti un po’ tutti: come hanno fatto i due americani a pensare di riuscire ad entrare e farsi strada in un mercato come quello dei social, dove ci sono dei colossi inespugnabili? Su cosa puntare per emergere? Su ciò che su Facebook, Instagram, Twitter e TikTok manca: la vera voce degli utenti. E non in senso metaforico, ma letterale, con un risultato che sa di autentico.
Che la voce umana sia veicolo di arte ed emozioni è cosa assodata e confermata dalla diffusa tendenza ad usufruire dei podcast per arrivare al grande pubblico (ne abbiamo parlato qui). Ma Clubhouse non utilizza la voce di determinati personaggi per trasmettere informazioni, bensì pone l’attenzione sulla conversazione tra tutti gli utenti, che possono accedere a diverse room e…parlare, semplicemente. Niente immagini, niente video, nessuna parola scritta.
L’unico strumento possibile per esprimersi è la propria voce.
Le conversazioni avvengono in diretta e non vi è possibilità di registrare, per cui tutto quello che viene detto non lascia traccia alcuna. Ogni stanza è dedicata ad un tema differente e tutti hanno la possibilità di aprire una nuova room, scegliendo in autonomia di cosa parlare e le modalità di accesso all’ambiente: ogni stanza, infatti, può essere Open, cioè aperta a tutti, Social, visibile solo alle persone interconnesse tra loro, e Closed, accessibile solo a chi è stato invitato.
Anche nella cura della sua immagine, Clubhouse si differenzia dai giganti del settore, optando per un’icona dell’app inusuale: non è brandizzata, cambia continuamente -ad ogni aggiornamento di sistema, per la precisione- riporta volti di persone scelte non per la loro popolarità ma semplicemente per il contributo fornito alla piattaforma.
Davison e Seth hanno scelto, infatti, personaggi sconosciuti ai più, come quelli di Bomani X e Axel Mansoor, per citarne alcuni: musicisti statunitensi con una fanbase limitata, ma estremamente seguiti su Clubhouse. Il primo conduce il talk #CottonClub, con un alto numero di partecipanti; il secondo è sbarcato in piattaforma per suonare ninna nanne.
Artisti con qualcosa da dire e un personale modo di comunicare, che all’interno di Clubhouse hanno trovato il loro palcoscenico ideale. E se la trovata strategica risiedesse proprio in questo? Nel dare notorietà a chi non la ha, ma allo stesso tempo non fornire a chiunque l’opportunità di essere il volto dell’app. Axel Mansoor e Bomani X, infatti, oggi sono i due cantanti lanciati da Clubhouse e questo con tutta probabilità rappresenterà per loro un trampolino di lancio verso la notorietà. In quanti d’ora in avanti sgomiteranno per avere la stessa opportunità?
Il punto è che Clubhouse sa come risultare desiderabile.
Nel giro di breve tempo, infatti, ha raggiunto oltre 8 milioni di download su iOS, cifra notevole se si considera che è noto alla maggior parte del globo da poco più di due mesi, e se si valuta che è scaricabile solo da chi possiede un dispositivo Apple.
Limitante anche il vero e proprio accesso in piattaforma per coloro che scaricano l’app: per poter usufruire dei servizi del social network, infatti, è necessario ricevere un invito da chi è già iscritto o, al contrario, “mettersi in lista”, aspettando che uno degli utenti -magari un conoscente- dia la possibilità di entrare. Questo limite posto dal social non nasce dalla volontà di essere un portale di nicchia, ma è stata un’esigenza nata dall’altissima mole di iscritti, che ha portato ad alcuni problemi nella gestione del carico. Strizza l’occhio al buon vecchio marketing, invece, la scelta di colmare la problematica con questa white list che permette di entrare solo se invitato.
Ed è qui che emerge nuovamente la loro strategia, la volontà di rendersi desiderabili e circondarsi di un alone di esclusività: all’improvviso diventa fondamentale prendervi parte, anche solo per non sentirsi estranei ad un fenomeno che sta impazzando in tutto il mondo. Un po’ come è accaduto con i Nutella Biscuits introvabili, o con le scarpe firmate Lidl, divenute un must have per le settimane seguenti il lancio.
È forse anche questo il concetto che sta alla base di Clubhouse: permettere alle persone di PARLARE, entrare in questi salotti e discutere, per davvero, attorno ad un tema di loro interesse. Dopo un anno dall’inizio della pandemia, siamo ancora impossibilitati ad incontrarci e confrontarci, e a risentirne è in prim’ordine la nostra vita sociale: niente comitive o gruppi di amici, niente chiacchiere da bar. Probabilmente gli inventori di Clubhouse hanno pensato a come far sentire gli utenti di nuovo parte di “qualcosa”, di un club, appunto. Essere coinvolti in discussioni, dalle più leggere alle più impegnate, conoscere nuove persone, creare relazioni.
Il social network della voce è un po’ uno specchio del presente: siamo ancora lontani, ma il desiderio di parlarci, riunirci in una stanza e chiacchierare, c’è e si fa sentire.
In generale, essere parte di un fenomeno, e conseguentemente poterne discutere, è ciò che più amano gli utenti. Perché vogliono dire la loro, vogliono poter parlare, non vogliono sentirsi esclusi da ciò che in quel momento è un tema particolarmente in voga e il più delle volte poter anche permettersi di essere avventati nelle cose da dire, perché tanto, non ne resta traccia (salvo intoppi come quelli segnalati da alcuni giornali su utenti che rendevano pubblici i contenuti delle conversazioni riservate).
La riservatezza è, del resto, sempre una pretesa ambigua nel mondo dei social network. La nuova piattaforma potrebbe trasformarsi da luogo d’eccellenza virtuale per lo scambio delle opinioni -dato che dà parola a chiunque- a piattaforma di diffusione di hate speech e fake news.
O potrebbe essere entrambe le cose.
Quale sarà, quindi, il futuro di questa piattaforma a metà strada tra una grande chiamata vocale su Whatsapp e un Podcast? Dove la porteranno il suo coraggio e la sua innovatività, ma anche i pericoli di cui è veicolo?
Noi, intanto, restiamo in ascolto.
Photos by: Dmitry Mashkin and Adem AY on Unsplash.
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