Il webinar no, non l’avevo considerato

Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce.”
Ecce Bombo,  1978

Febbraio 2020. Covid-19. Lockdown. Stop.

Se non puoi fare nulla, allora organizza un webinar.

Webinar
. Una parola che a oltre tre mesi dall’inizio dell’emergenza genera in ognuno di noi un brivido di terrore.

All’inizio è stata una reazione emotiva, in parte anche comprensibile. Di fronte al blocco totale, lo strumento già pronto e immediato era lì, a portata di mano. Bastava accendere una webcam. Non importa come, quando e perché. L’importante era esserci, non sparire, farsi vedere, non “vicino ad una finestra, di profilo, in controluce” ma con tutta la luce possibile, prima dei competitor, prima di tutti gli altri.

Un approccio piuttosto trasversale a vari settori, anche se particolarmente significativo in quelle industry che si occupano di eventi o che, per il loro business model, fondano la propria attività comunicativa e commerciale sull’interazione in qualche modo fisica.

L’effetto è stato una “webinar guerrilla” che nel giro di poche ore (ore!) ha intasato le nostre mail, bacheche social e chat di inviti, appuntamenti, proposte e richieste di partecipazione ai webinar più disparati. Da come fare la pizza in casa a come investire i nostri risparmi durante la crisi. Così, senza nessuna pietà.

Ma soprattutto senza nessuna strategia e, più in generale, senza nessuna preparazione rispetto alle dinamiche digitali.

L’errore più macroscopico è stato quello di traslare pedissequamente format e dinamiche degli eventi fisici nell’arena digitale. Così un evento fisico di 4 ore è diventato un evento digitale (sic!) di 4 ore. Chissenefrega se il nostro target è costretto a dover infilare il nostro webinar in una giornata già piena zeppa di call e videocall causa lockdown, spesso in un contesto in cui lo smartworking si è trasformato in un vero e proprio smart surviving, in case di pochi mq, con bimbi urlanti e pranzi e cene da preparare? Ah, magari costretto ad utilizzare uno smartphone perché i pc di casa servono ai figli per seguire le lezioni da remoto.

Per non parlare della corsa alle piattaforme che nel frattempo sono nate come funghi, promettendo esperienze mirabolanti. Ma le piattaforme, di per sé, sono neutre. È l’idea che sta a monte a rendere efficace un evento su una piattaforma, mai il contrario.

In ultimo, meno prosaicamente, il terribile approccio di molti speaker alla webcam che ha generato una serie di orrori irripetibili: dalla call con il cliente con la webcam spenta (alla faccia della relazione), ai microfoni lasciati aperti erroneamente, dai conviventi mezzi nudi entrati nell’inquadratura alle cam posizionate sotto il mento o con finestre alle spalle a ricreare un alone di luce mistica.

Errori compiuti solo da piccole imprese non attrezzate in termini di know how digitale, verrebbe da pensare. Eppure no. Un approccio devastante che ha interessato anche player di primissimo piano, soprattutto in quelle industry, dicevamo, che fondano il proprio business model sugli eventi e/o sull’interazione diretta.

È vero che in questi settori l’attività di comunicazione è rigidamente normata e circoscritta a pochissimi strumenti e target. Ma dopo la prima reazione “emotiva” al lockdown sarebbe stato opportuno fermarsi, prendere fiato e provare a capire lo scenario nel quale l’Italia e il mondo intero si sono trovati. Non solo in termini di contingenza (lo smart surviving) ma anche di visione prospettica, ovvero di scenari futuri in cui verosimilmente non ci sarà nessuna estremizzazione (ritorno al fisico VS digitalizzazione totale) ma una più plausibile e sinergica ibridazione tra reale e virtuale.

Invece ancora oggi, a oltre tre mesi dall’istituzione della prima zona rossa, assistiamo ad una tormenta di webcast, videocall, webinar, livecall e webblablabla. Meno pubblico partecipa, più incontri digitali si organizzano, con la speranza di recuperare attenzione e interesse. Con il paradosso che alcuni (l’ambito finanziario rappresenta uno straordinario caleidoscopio su questo tema), ad esempio, propongono webinar addirittura quotidiani, sempre con le stesse facce, gli stessi format e in orari che molto spesso si sovrappongono in pieno con le ore più produttive del target a cui si rivolgono. O a pranzo.

Nessun ripensamento del format, nessuna attenzione ai tempi dei destinatari, nessuna logica multicanale e soprattutto tutti ossessionati dal live.

Questo tema merita un breve approfondimento. Proporre un incontro live significa costringere il nostro target a dover stare davanti al proprio device in un determinato momento, chiedendogli di rinunciare ad altre attività (lavorative o personali). Proporre contenuti on demand, invece, sfruttando soprattutto logiche multicanale (DEM, social, podcast, landing page ecc.) permetterebbe al destinatario di fruire il contenuto nel momento per lui più opportuno, poiché sarebbe lui a costruire la sua agenda senza dover rinunciare a nulla, o quasi. 

Anche in questo caso, la differenza la fanno l’idea e la qualità dei contenuti, ma la soluzione dell’on demand ha sicuramente degli enormi vantaggi in termini di fruizione rispetto al live.

Eppure…

Marina Rampin
Marina Rampin
Marina Rampin
Claudio Lo Tufo, Camilla Morabito, Gaetano Grasso, Marco Oliveri, Marina Rampin, Mauro De Clemente