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In mano a poco meno di metà della popolazione mondiale e capaci di realizzare più di un miliardo di operazioni al secondo, gli smartphone sono lo strumento perfetto per garantire le cure a distanza. Il futuro è già qui, e si chiama mHealth
Uso spesso le app quando pratico attività fisica. Quando passeggio in montagna e mi capita di perdere l’orientamento (succede quasi sempre a dire il vero), cerco di ritrovare la mia strada triangolando i dati del GPS con quelli dell’altitudine grazie a delle app che accedono ai sensori del mio smartphone. Utile e veloce: e questo mi spinge a pormi delle domande sull’utilizzo di questi strumenti e delle infinite possibilità. Potrei spingermi oltre? Potrei pensare di usare il telefono come dispositivo medico? Potrei affidagli la mia vita e la mia salute?
Per alcune persone, l’idea di affidare la propria vita a uno strumento tecnologico non è fantascienza: è la quotidianità. Un esempio? Chi soffre di diabete o ha problemi cardiaci, può già dirsi “cyborg” a tutti gli effetti. Pace–maker e cerotti per il monitoraggio dell’insulina infatti si sono evoluti negli anni e sono stati digitalizzati al punto da poter essere controllati direttamente da smartphone e PC. A chi non soffre di questi disturbi, invece, sarà capitato di inviare al medico la foto di una lastra e chissà, magari qualcuno è anche arrivato a tossire nella cornetta del telefono per farsi diagnosticare problemi respiratori. Può sembrare uno scenario forzato, ma basta pensare alla prima ondata della pandemia di Coronavirus, quando in Italia le visite telematiche sono aumentate moltissimo. Complice la necessità di evitare di frequentare gli ospedali, si sono diffusi molti strumenti a disposizione di pazienti e di medici per fare visite “on the go”.
In primo luogo ci sono le app che approfittano di sensori e funzionalità già presenti sui dispositivi per permettere agli specialisti di effettuare visite fuori dagli ambulatori. Quella realizzata da PeekVision, ad esempio, è stata pensata per valutare l’acutezza visiva sfruttando la fotocamera dello smartphone. In altre occasioni può essere necessario accompagnare la tecnologia mobile ad un’altra che la completi, come ad esempio accade con i kit per le analisi delle urine domestici messi in vendita nel Regno Unito acquistabile in farmacia e composto da un recipiente e un sistema di analisi semplificato. Il funzionamento è semplicissimo: una volta testato il campione, il paziente può inviare una foto dei risultati al proprio medico che ne ricava le informazioni necessarie per un’eventuale terapia, proprio come se si trattasse di un’analisi fatta in laboratorio. Sempre nell’ottica di incentivare le visite domiciliari mantenendo il grado di accuratezza che si può avere all’interno di una clinica, sono stati sviluppati dei dispositivi che permettono allo specialista di fare analisi anche più complesse. La Butterfly network ha già messo in commercio la seconda versione della sua sonda a ultrasuoni portatile che sfrutta lo schermo dello smartphone per visualizzare le immagini delle analisi. Insomma, il medico di famiglia potrebbe tornare al volante della Panda e andare a fare visite a domicilio, esattamente come nei racconti dei più anziani, mantenendo però l’accuratezza di tutti gli strumenti moderni.
Non possiamo trascurare però il fatto che quando una nuova tecnologia tocca da vicino le nostre vite, è accompagnata da un certo grado di diffidenza. Figurarsi cosa succede quando si parla di salute! La comunità scientifica è abituata a verificare qualsiasi affermazione e sono numerosi gli studi scientifici che valutano l’efficacia di ognuno dei dispositivi citati. È anche stato coniato un termine apposito che racchiude tutte le pratiche mediche che sfruttano i telefoni cellulari: si parla in questo caso di mHealth, dove la m sta per Mobile.
Nonostante il suo successo, la mHealth è ancora un campo per lo più inesplorato e sono moltissimi i progetti ancora in cantiere. La maggior parte di questi è pensata per far fronte alle difficoltà introdotte dal Coronavirus sfruttando le tecnologie più innovative. Un esempio è l’app, sviluppata da un gruppo di ricerca del MIT, che si basa sull’intelligenza artificiale per distinguere, dal solo suono della tosse, malati Covid asintomatici da individui sani. Il sistema è ancora in fase di testing ma il gruppo di ricerca sta lavorando per ottenere l’autorizzazione delle autorità statunitensi per poterlo utilizzare ufficialmente come strumento di screening. Per quanto riguarda i dispositivi invece, il più atteso viene da una collaborazione di diversi centri di ricerca europei in un progetto chiamato Chipscope. I ricercatori dell’Università di Barcellona, insieme all’Università di Roma Tor Vergata, l’Istituto austriaco di tecnologia e diversi centri di ricerca tedeschi e svizzeri, stanno realizzando un microscopio miniaturizzato, talmente piccolo da poter essere idealmente montato su uno smartphone. Questo microscopio, inoltre, permetterebbe di osservare oggetti molto più piccoli di una cellula e sarebbe quindi in grado di rilevare tracce di DNA sulle superfici. In parole povere potremmo verificare se sulla tastiera del nostro computer ci sono tracce di virus, superfluo dire quale.
Nonostante il mercato degli smartphone abbia ben chiaro quali sono le feature più ricercate (migliori fotocamere, maggior memoria, schermi più dettagliati e luminosi), migliorare alcuni elementi trascina con sé lo sviluppo di altri “accidentali” che possono essere sfruttati per gli scopi più disparati. E così una maggiore memoria ci permette di avere a portata di mano più app tra quelle personali e quelle di lavoro. Una migliore connettività ci permette di accedere al cloud con più facilità e di collegare lo smartphone a dispositivi wireless e così via. Le possibilità sono pressocché infinite, la maggior parte delle quali non riusciamo ancora neppure a immaginarle.
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