Il trionfo di Venere

Chiara Ferragni agli Uffizi: i social come portatori di una nuova vocazione democratica del museo o come impoverimento culturale? La risposta sembra stare nei numeri

Pare che Le storie di Giuditta e L’adorazione dei Magi del Botticelli le siano piaciute almeno quanto la Venere, di fronte alla quale è stata immortalata dallo scatto su Instagram che ha fatto in breve il giro del web e che ha scatenato fan e detrattori, suoi e degli Uffizi.

Chiara Ferragni, geniale imprenditrice digitale da più di 20 milioni di follower, ha realizzato giorni fa un photoshoot per Vogue Hong Kong agli Uffizi: pare si trattasse di una campagna fotografica in collaborazione con un’organizzazione non profit che si occupa di educazione e gioventù in Asia. Chiara ne ha approfittato per qualche immancabile selfie social, accompagnata in giro per il museo dal direttore Heike Schmidt. Ed ecco la prima, fondamentale, precisazione: Condé Nast International ha pagato regolarmente il canone per l’utilizzo delle Gallerie. Il contrario sarebbe stato grave. Questa informazione però non basta a sedare le polemiche: come è abituata a fare, la Ferragni diventa regina del dibattito pubblico dividendo “apocalittici” e “integrati”. Infatti, sembra quasi che i responsabili dei social del museo abbiano anticipato le polemiche, visto che nel loro post si legge:« Ai nostri giorni l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di followers – una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social – . Il mito di Chiara Ferragni, diviso tra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci nel mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo». 

Post assai criticato perché eccessivamente elogiativo: in realtà è innegabile che Chiara sia un mito per i suoi milioni di followers e che abbia la capacità di orientare opinioni e comportamenti. Calciatori, cantanti, attori, influencer: non sono forse quasi delle divinità per millennials e non solo? Il post di uffizigalleries ha ottenuto 30mila like e 2mila critiche, mentre quello sul profilo della Ferragni ha ricevuto circa 550mila apprezzamenti. In generale, il direttore  Eike Schmidt ha dichiarato che i canali social sono letteralmente schizzati alle stelle. 

Ma quanto contano questi social, questi post, questi like? Forse un bel po’ visto un altro importante dato: nel fine settimana successivo alla visita di Chiara Ferragni i visitatori under 25 sono cresciuti del 27% rispetto al week end precedente. Cifre che fanno riflettere soprattutto se si pensa che dall’inizio del lock down i musei italiani nel loro complesso hanno perso circa 19 milioni di visitatori. Un post non servirà a invertire il trend, ma sembra andare nella direzione giusta: quella di socializzare ai luoghi della cultura comunicandoli come centri di bellezza e di sapere. In questo senso va letta la più ampia strategia social di avvicinamento ai giovani degli Uffizi, che sono sbarcati fra le critiche persino su TikTok con video umoristici. 

A questo proposito Schmidt ha detto che «se i giovani non stabiliscono oggi una relazione col patrimonio culturale, è improbabile che in futuro, quando saranno i nuovi amministratori, vorranno investire in cultura». Non a caso l’Icom (International Council of Museums) ha proposto di ridefinire il concetto di “museo” in funzione della democratizzazione e dell’inclusione sociale. Un museo deve attirare visitatori con la sua offerta artistica, deve includere, deve essere di tutti, deve comunicare e insegnare a  quei tutti che siamo il valore del nostro immenso patrimonio culturale. I social, se usati bene, possono dare il loro contributo: il post della Ferragni dice:« It’s the best time to visit museum and @uffiziagalleries is one of the most special in the world». La Ferragni ha semplicemente usato i social per dire:« Andate a visitare gli Uffizi». Nessun messaggio subliminale. E se consideriamo che, secondo la classifica annuale Instagram Rich List 2020, un post della Ferragni vale 52mila Euro, anche i conti su chi dovrebbe pagare chi sono presto fatti.

Va ricordato che i musei italiani sono per lo più in ritardo nella comunicazione sui social network: secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali (dati 2016) il 52% dei musei possiede un account sui social ma solo il 13% è presente nei tre più diffusi; il 51% ha una pagina Facebook, il 31% un account Twitter e solo il 15% uno su Instagram. Percentuali che devono cambiare se si intende intercettare la domanda di cultura di quei giovani iperconnessi che sui social vivono.

Fedez ha fatto notare che nessuno si è indignato per il videoclip Dorado di Mahmood realizzato nel Museo Egizio di Torino. In realtà, anche in questo caso il direttore del museo Christian Greco ha sostenuto il tema dell’inclusione e della democratizzazione culturale, ricordando che :« l’accostamento tra la nostra collezione e la musica di Mahmood esprime appieno il senso di universalità che caratterizza i vari linguaggi della cultura, portatori di messaggi in grado di raggiungere e arricchire chiunque».

Per assumere una posizione, dobbiamo quindi chiederci molto semplicemente qual è l’effetto delle strategie comunicative di Chiara Ferragni e di Mahmood. Se spingono tanti di noi che prima non l’avrebbero mai fatto ad andare al museo ben vengano.

 E, forse, poi, dobbiamo chiederci, ma lei, Chiara…cosa ci avrà guadagnato?

Fabrizio Broccoletti
Fabrizio Broccoletti
Fabrizio Broccoletti, Diana Tartaglia
Fabrizio Broccoletti
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Fabrizio Broccoletti