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Intervista a Umberto Croppi, presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma
Una visione eccentrica, “squilibrata” e fuori dagli schemi dell’arte italiana dagli anni Sessanta ad oggi; un viaggio spettacolare che ridisegna i confini tra arti visive e discipline come la danza, la musica il teatro e il design. È FUORI, la Quadriennale d’arte 2020 che con la pandemia porta la narrazione dell’opera d’arte fuori dal Palazzo delle Esposizioni di Roma, sul web e sui social, per parlare più che mai un linguaggio contemporaneo e alternativo.
Sui profili Facebook e Instagram e nella sezione Archivio del sito quadriennale2020.com, infatti, si va da Partita doppia – le storie d’arte con cui lo storyteller Luca Scarlini mette in dialogo i 43 artisti in mostra con i protagonisti delle precedenti Quadriennali – a FUORItutto, ovvero le visite guidate con i curatori; passando per FUORIfocus, il racconto fotografico delle opere esposte. Sempre sul sito e su Facebook trova spazio FUORItesto: un percorso ragionato tra le pagine del catalogo edito da Treccani. Ci sono poi il programma radiofonico Non solo performing arts di RAI Radio Live e le playlist musicali selezionate dai curatori su Spotify e Instagram.
In pratica, su web e social è possibile approfondire, grazie a video, podcast, rubriche e altro ancora, gli immaginari e le storie degli artisti e delle opere. È di questi aspetti e di queste scelte che parliamo con il presidente della Quadriennale di Roma Umberto Croppi.
FUORI ha coraggiosamente aperto lo scorso ottobre per chiudere a causa della pandemia dopo una sola settimana, pur avendo registrato il sold out. È stata prolungata fino alla primavera 2021 e – in attesa di riprendere in presenza – prosegue sul web e sui social. Presidente, questi canali digitali avrebbero comunque fatto parte della strategia di comunicazione di una Quadriennale innovativa come questa anche senza la nuova ondata pandemica o sono stati una scelta obbligata?
Si, tutte le iniziative destinate alla rete erano state concepite come un complemento all’attività espositiva tradizionale. Anzi, non possono nemmeno essere inquadrate in una attività di comunicazione, esse sono parti costitutive della produzione. Le restrizioni dovute alla pandemia, con le limitazioni agli accessi e agli spostamenti, soprattutto, internazionali, ci hanno dunque trovati preparati. I progetti avviati con il Ministero degli Affari Esteri e con la RAI erano già pensati per una diffusione dei contenuti a beneficio di un pubblico molto più vasto rispetto ai potenziali visitatori, ma non avrebbero comunque costituito semplici forme sostitutive rispetto alla visita in presenza. Ognuno di essi è infatti uno strumento aggiuntivo, che offre, anche a chi ha potuto beneficiare della frequentazione del Palazzo delle Esposizioni, possibilità di approfondimento, di maggiore comprensione oltre che di ulteriore godimento delle opere, della loro storia e dei contesti che le riguardano.
Per fare solo un esempio, collegandosi a quadriennale2020.com, è possibile accedere direttamente tramite web browser ad un ambiente fatto di foto sferiche e video immersivi e visitare in soggettiva gli ambienti e le opere della Quadriennale. Una soluzione per molti aspetti in linea con le scelte tantissime istituzioni museali e realtà espositive in giro per il mondo, a cominciare dal nostro Castello di Rivoli con il suo “Cosmo digitale” – un contenitore che ospita creazioni artistiche, conferenze in streaming e documentazioni – o la mostra “Raffaello 1520-1483” alle Scuderie del Quirinale a Roma con la sua “Passeggiata in mostra” su Youtube, i video racconti e i backstage dell’esposizione. Queste scelte espositive e comunicative fatte al livello globale lasceranno una traccia indelebile nel linguaggio dell’arte o sono solo una parentesi?
Diciamo che rappresentano una delle modalità in cui si dovrà articolare la fruizione di eventi espositivi. Come detto questo è un sistema che consente a chi fisicamente non è in grado di raggiungere la sede di poter comunque accedere al suo contenuto; ma il vero valore aggiunto è dato dal fatto che questi materiali costituiscono una nuova forma di archiviazione, totalmente interattiva e capace di riprodurre le caratteristiche allestitive, che sono parte essenziale di una mostra. Anche chi vorrà “tornare” a vedere la mostra, o studiarla in futuro potrà farlo avendo, ora e per sempre, a disposizione l’insieme inalterato delle sue componenti.
Tra i vari canali digitali, qual è, secondo lei, che si adatta meglio all’arte contemporanea?
Le frontiere della rete sono in continua evoluzione e non è possibile operare una distinzione netta tra le diverse piattaforme. Continuando nell’analisi di quanto messo in campo per la Quadriennale, il virtual tour rappresenta, come visto, una duplicazione tal quale della mostra; gli interventi di Luca Scarlini, le visite guidate dai curatori, le trasmissioni di Rai Radio Live sono invece prodotti più avanzati, pensati in funzione della rete, come estensione dell’evento. Ma non siamo ancora ad una produzione artistica in senso stretto immaginata “per” la rete. Qui entriamo in un campo diverso, che è quello dei linguaggi artistici, che sono espressione del contesto storico, sociale ma anche tecnologico in cui si formano. Il vero salto di qualità si produrrà (e si sta già cominciando a produrre) con la realizzazione di opere concepite sui new media, che spesso saltano anche le forme classiche di intermediazione e offrono un confronto molto più diretto ed immediato con i destinatari.
Che riscontro avete avuto dal pubblico di social e web? Avete già dei dati sui vostri “visitatori digitali”?
No, è presto per dirlo, dati significativi li avremo quando si tireranno le somme e si potrà dare una lettura incrociata delle diverse piattaforme utilizzate. Tenendo comunque conto che una delle novità sta nel fatto che la permanenza in rete di queste realizzazioni produrrà effetti di lunga durata, ben oltre la scadenza della mostra.
Sulle pagine del Corriere, Vincenzo Trione ha affermato di recente che, nel ridefinire le loro infrastrutture digitali (non sempre adeguate), le istituzioni museali mostrano «la volontà di coniugare il momento della formazione con il gusto per il divertimento e per la gamification. Siamo nell’orizzonte dell’infotainment, nel quale information ed entertainment si contaminano, si sovrappongono». In questo modo, la loro offerta culturale diventerebbe più interattiva e coinvolgente, avrebbe qualcosa in più rispetto alla fruizione tradizionale. È d’accordo? Web e social nell’arte stanno realizzando la saldatura tra educazione e divertimento?
Bisogna utilizzare formule e definizioni con molta cautela. Ogni attività di divulgazione per essere efficace deve avere una componente di godimento, non è una novità: questo è un elemento insito in ogni manifestazione artistica e d è la base di ogni aggiornata filosofia espositiva. Bisogna però distinguere in maniera netta almeno tre diversi campi.
Una cosa è l’uso di tecniche di marketing che rendano più attrattiva la permanenza in un museo e più comprensibile la sua proposta. E questo vale sempre: non erano concepiti in questa logica il Museo della Civiltà Romana all’Eur, con i plastici e le ricostruzioni o quello delle scienze di Monaco di Baviera (tanto per fare due esempi) che ricreavano ambienti “immersivi” utilizzando le tecniche disponibili al momento del loro allestimento?
Altra è l’informatizzazione dei materiali esistenti, per migliorarne la catalogazione e conservazione e renderli accessibili in forme universali.
Altra ancora è la mutazione delle forme espressive, dei linguaggi, che riguardano la sostanza della creazione artistica.
Le tre cose debbono andare in parallelo ma tenendo ben presente la distinzione tra i diversi ambiti. Il rischio che ora si intravvede è che si faccia confusione, riducendo tutto alla pura e semplice trasposizione su nuove piattaforme di una cultura della produzione culturale nata in e per altri contesti. È un rischio reale, che comporterebbe, se non evitato, spreco di risorse e ritardi che non possiamo permetterci.