Il Visual Social Data Journalism, l’arte della cross-medialità applicata al giornalismo

Il giornalismo sta cambiando, intersecando nuove competenze aprendo nuovi scenari. L’esempio di Mona Chalabi

Sono un giornalista pubblicista. A differenza di Salmo, volevo fare il giornalista, anche se non volevo scrivere su Rolling Stone, ma essere un giornalista d’inchiesta.

Da anni non è più la mia professione primaria ma, oltre che per la formazione obbligatoria, continuo di tanto in tanto a interessarmi delle evoluzioni del giornalismo.

Qualche giorno fa mi sono imbattuto sul profilo Instagram di Mona Chalabi . Avendo negli anni fondato un’agenzia di comunicazione ed essendomi specializzato nel content management digitale, si è trattato di una folgorazione.

Mona Chalabi, a mio avviso, è il punto di contatto tra gusto e creatività visiva, conoscenza del linguaggio e delle dinamiche dei social network, esperienza nella lettura e nella diffusione dei dati e veridicità e credibilità giornalistica. Senza trascurare l’approccio intelligente e per nulla scontato e gridato del suo personal branding e personal marketing, con il pretesto condivisibile del social networking.

Come scrive di se stessa sul proprio sito web, il suo lavoro copre temi d’impegno: “Racial injustice, COVID-19, policing, wealth inequalities, climate change, government budgets, immigrant rights, mental health, voting rights and so much more (including the occasional post about sunburn, witchcraft or vaping”. 

Vi direi di prendervi una mezz’oretta per scoprire tutto il suo lavoro. 

Tra le cose che mi hanno colpito maggiormente, l’uso potente (sia a livello informativo che emozionale) delle stories Instagram per visualizzare i dati di un grafico come nel caso di “Police Killing”.

Interessante anche il suo lavoro sul COVID-19, che offre sempre una chiave semplice e immediata di lettura, oltre che un punto di vista inusuale. Ne uso un esempio per l’immagine che accompagna questo post.

Dal profilo Instagram
@monachalabi

Chiudo con una riflessione relativa all’evoluzione delle professioni e dei talenti. Da un lato c’è la scuola di pensiero delle specializzazioni verticali. Prendiamo la proliferazione delle professioni nell’ambito digitale: social media manager, community manager, marketer, seo specialist etc etc …potrei continuare per almeno una cinquantina di righe.

Dall’altro (e mi sento per indole più vicino a questa strada) c’è chi ritiene che la chiave del futuro sia quella di una cross-specializzazione. Ovvio, qui non parlo del saper fare tutto e il contrario di tutto, ma della capacità di far interagire competenze di confine per distinguersi e dare un vero valore aggiunto a un mondo della comunicazione che soffre di un appiattimento preoccupante dei suoi messaggi in nome di una finta democratizzazione dei mezzi e degli strumenti.