Quando a fare volontariato è il mondo del digitale

Distanti ma uniti” è uno degli slogan preferiti dell’isolamento per il covid-19. Insieme ad “andrà tutto bene”, “ce la faremo”, è uno di quei mantra che vengono ripetuti, a volte in maniera quasi ossessiva, per darsi coraggio, per sentirsi meno soli. Passato l’appuntamento ai balconi per cantar tutti insieme e la solidarietà da finestra a finestra però, la routine ha fatto la sua parte. Ogni giorno diventa più difficile uscire con la mente dalle proprie quattro mura, e la solitudine prende il sopravvento sul senso di comunità. Vuoi per noia, vuoi per contrastare questo atteggiamento eccessivamente autoreferenziale, in molti hanno deciso di recuperare i legami con l’altro, anche sconosciuto.

Se questa quarantena obbligatoria ha comportato qualcosa di buono, è sicuramente il sentimento di solidarietà, strettamente connesso alla realizzazione dei privilegi di cui la maggior parte di noi può godere. Parlare di volontariato in tempi “nomali” significa rivolgersi ad una nicchia, ma al tempo del coronavirus la platea di generosi si allarga. E non solo fisicamente, come il panettiere del quartiere romano di Piazza Bologna che ha appeso intorno al suo negozio dei sacchetti con biscotti, pasta e beni di prima necessità gratis per chi ne ha bisogno, ma anche a livello digitale. La vita di questo primo semestre del 2020 infatti è legata indissolubilmente alla tecnologia, ma come fare per chi non ha in casa i figli per aiutarli o davvero non riesce a entrare in sintonia con il mondo virtuale? Un problema con cui si sono dovuti confrontare gli insegnanti, che di colpo hanno dovuto imparare come tenere a bada gli studenti tramite uno schermo, o i lavoratori meno “smart” obbligati al lavoro da casa. Ecco allora nascere in maniera spontanea gruppi di persone disponibili a dare una mano, a spiegare l’utilizzo delle principali piattaforme, dare dritte e trucchi per corsi accelerati di tecnologia e vita 2.0. Una forma di aiuto e di sostegno che diventa volontariato a tutti gli effetti, come nel caso dei gruppi su Facebook di quartiere dove i giovani si offrono di andare a fare la spesa per gli anziani vicini: gli stessi che magari, ai tempi degli assembramenti, si lamentavano del troppo chiasso. “Un amico lo riconosci nel momento del bisogno” si dice, e ora può valere anche per il vicino di casa. Altro esempio virtuoso è costituito dalla “spesa sospesa”, naturale evoluzione del caffè sospeso che da qualche anno si è diffuso lungo tutto lo stivale. Il meccanismo è il medesimo: si paga qualcosa in più che resta “in sospeso”, in attesa che qualcuno che ne ha davvero bisogno lo porti a casa con sé. Una iniziativa a cui hanno aderito diversi supermercati in tutta Italia, spesso in collaborazione con fondazioni ed enti di beneficenza per raccogliere fondi.

La piattaforma Moovit ha deciso di chiamare a sé centinaia di volontari per svolgere molte di queste funzioni: dal correre in farmacia e consegnare i medicinali a domicilio fino alla consegna di un pasto caldo per chi un tetto non ce l’ha. Non solo: i giovani di Moovit monitorano anche il traffico e il trasporto pubblico in moltissimi comuni italiani, per venire incontro alle necessità di chi, coronavirus o meno, è obbligato a spostarsi per lavoro e necessità. Un comportamento altruista a cui hanno aderito anche compagnie di trasporto pubblico come Wetaxi, che ora svolge anche servizio delivery, o Freenow, che ha reso gratuite e corse in taxi per infermieri e medici impegnati giorno dopo giorno in prima linea contro il coronavirus. E ancora: ha fatto notizia la storia di Cristian Pibia, 30enne programmatore di Cagliari che ha realizzato a tempo record una applicazione per permettere a chi non ha la stampante di scaricare una applicazione e dotarsi di una autocertificazione digitale. Certo, l’applicazione è stata cancellata per volere del Ministero dell’Interno pochi giorni dopo, ma come si suol dire, è il pensiero che conta.

Darsi una mano ai tempi della quarantena significa anche ascoltare: è il caso di molti psicologi che hanno deciso di offrire piccole sessioni online gratuite. Obbligati anche loro a casa, tra un paziente e l’altro su skype &co. si offrono per ascoltare, dare consigli, cercare di arginare la sensazione alienante e di straniamento che può aver portato alla superficie problemi che erano annebbiati e insonorizzati dalla vita quotidiana. Il silenzio del tempo libero, che però non viene vissuto appieno, può infatti essere terreno fertile per i peggiori demoni. E se non si vogliono scomodare traumi infantili, ne basta un altro fin troppo diffuso: la noia. Anche in questo caso, la soluzione esiste: la piattaforma di innovazione sociale e raccolta fondi online “Produzioni dal basso” ad esempio ha lanciato l’iniziativa #attiviamoenergiepositive in collaborazione con Banca Etica e Gruppo Assimoco, mettendo online numerosi cicli di formazione online sugli argomenti più disparati, sempre in tema di energia. La noia però può essere riempita anche dall’intrattenimento: se da un lato Pornhub ha reso gratuiti i contenuti premium (perché solitudine e isolamento hanno effetti anche sulla sfera sessuale, inutile negarlo), Infinity ha annunciato che devolverà l’intero importo del primo mese di sottoscrizione, alla fine del primo mese gratuito di default, alla Protezione civile aderendo alla raccolta fondi “aiutiamo chi ci aiuta” lanciata da Mediaset-Mediafriends. Ad incentivare il mondo del digitale a fare la sua parte ci ha pensato anche il Ministero dell’Innovazione, che con la campagnasolidarietà digitale ha chiamato “alle armi” compagnie telefoniche, editori e aziende di tlc. Ecco allora i giga gratis per vedere video, navigare o chattare, giornali e riviste messe a disposizione gratuitamente in digitale (anche per scoraggiare le gite in edicola).

Il coronavirus ci ha obbligati a stare lontani, ma ci ha avvicinati. Abbiamo colmato quel metro obbligatorio di distanza con buone idee, iniziative e campagne Abbiamo capito cosa non ci è essenziale, scoprendo che forse può esserlo per qualcun altro. La speranza è che questa quarantena finisca il prima possibile, per farci tornare alle nostre vite “normali”. E se torneremo nelle strade, nelle uffici e nella case dei nostri amici inevitabilmente cambiati da questa esperienza, speriamo che sia perché torneremo meno individualisti, e che il volontariato del mondo digitale non sparisca, ma si traduca nel mondo reale.

Gaia Mellone