Cosa abbiamo imparato da un anno di eventi digitali – volenti o nolenti

L’overdose di eventi digitali da pandemia ha lasciato lezioni importanti: adesso però bisogna fare un passo in più.

“Metti muto”, “non ti sentiamo”, “ti sei frizzato”…quante volte lo avete detto o vi è stato detto?

Parliamo degli ultimi 12 mesi vissuti in on line, con un focus sugli eventi digitali.

Cosa abbiamo imparato? Molte ovvietà, almeno sulla carta.

  • La qualità vince sulla quantità. La prima reazione di molte aziende, allo scoppio della pandemia, è stata quella di “occupare” gli spazi. Bisognava esserci. I numeri impietosi (in termini di audience) hanno però certificato in maniera inequivocabile che l’iperpresenzialismo fine a sé stesso non ha funzionato. Il webinar quotidiano anche no.
  • Il contesto “is King”: l’offerta di eventi digitali è esplosa nel momento in cui ciascuno di noi si è trovato letteralmente bombardato di call, videocall, videomeeting ecc. Senza considerare che molto spesso c’era da scazzottare in famiglia, con mariti, mogli e figli per accaparrarsi uno strapuntino di connessione tra mail, DAD, Netflix..In sintesi: non basta avere il miglior prodotto del mondo se non teniamo conto del contesto nel quale ci troviamo a proporlo.
  • Più utilità che qualità (!): ne abbiamo viste di ogni. Dall’evento girato dal bagno di casa, a quello in studi virtuali che dava l’impressione di trovarsi a bordo di uno Shuttle. Ma a prescindere dalla qualità tecnica, i numeri dicono che a vincere è stata l’utilità dei contenuti proposti. Utilità intesa come capacità di interpretare i bisogni contingenti del proprio pubblico, offrendogli contenuti davvero interessanti. Con buona pace dei tutorial su come fare il pane in casa.
  • Live non sempre è bello: soprattutto nella prima fase di lockdown totale, l’ossessione di molti è stata il dover essere “live” o, usando un’espressione televisiva, “in diretta”. Ma il live presuppone una fruizione “in presenza” (davanti allo schermo) che a larghi tratti è stata inconciliabile con il contesto (vedi punto 2) che stavamo vivendo. Meglio preferire una “scomposizione” dei contenuti in modalità e piattaforme diversificate (audio, dem, video ecc.) per consentire una fruizione on demand gestibile dal destinatario sulla base delle proprie esigenze.
  • Vince l’idea, non il contenitore: con la pandemia si è scatenata fin da subito la guerra delle piattaforme. Alcune molto performanti, qualche altra lanciata con annunci roboanti e poi crollata al secondo evento. Ma di fatto molto spesso si è data importanza più alla piattaforma che al “cosa farci dentro”. Ci sono stati eventi molto interessanti e partecipati realizzati su una “banale” landing page. Così come eventi terrificanti realizzati su piattaforme bellissime. Ma se non c’è un’idea…
  • Si fa presto a dire digital: il digitale ha dinamiche, linguaggi, modalità, tecnicalità specifiche. Eppure, per molti è bastato traslare sul web (piattaforma o meno) il loro format di evento fisico per definirlo un evento digitale. Un live di 120 ore in sostituzione di 120 ore di evento in presenza non sono un evento digitale, ma un omicidio di massa…

Non sappiamo cosa succederà nei prossimi mesi. Se torneremo a vivere eventi fisici (sicuramente non a breve), in quali contesti si continuerà ad investire sugli eventi digitali, in quali altri contesti si andrà verso il phygital.

Ma….  (continua)

Claudio Lo Tufo, Camilla Morabito, Gaetano Grasso, Marco Oliveri, Marina Rampin, Mauro De Clemente
Gaetano Grasso
Gaetano Grasso, Marina Rampin